Anno VII - N° 34-35

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Luglio/Ottobre 2019

Rivista on-Line della Fondazione Prof. Massimo D'Antona

Anno VII - N° 34-35

Luglio/Ottobre 2019

Effemeridi • Pillole di satira e costume

Il gioco


di Fadila

Il gioco è diventato ormai una delle fonti più cospicue nelle entrate pubbliche. Ho letto da qualche parte che mai come in questo periodo lo stato ha incassato tanto dai vari giochi che gestisce. Se questo è vero, allora vuol dire che siamo messi proprio male. Infatti, è dimostrato, statistiche alla mano, che i giocatori aumentano in maniera inversamente proporzionale alla diminuzione del benessere sociale. Il lotto, per esempio, trovava vasta platea nell’Italia povera e degradata della parte iniziale del secolo ventesimo. A Napoli era addirittura l’istituzione più rispettata, adorata e seguita. Per esso si viveva, si pregava, lo si malediceva. Il sabato, quando c’era l’estrazione pubblica dei numeri all’Impresa da parte di un bambino vestito di bianco, scelto in un orfanotrofio cittadino, tutta la popolazione di ogni ordine e ceto si fermava col fiato sospeso e con i biglietti in mano.

Il totocalcio è stato inventato nel periodo più difficile dell’immediato dopoguerra quando la nazione sembrava in liquidazione e le condizioni degli italiani erano pressoché disperate. Il paese era un cumulo di rovine e la gente senza reddito e occupazione. Alcuni furboni ebbero questa brillante idea grazie alla quale si stavano arricchendo, finchè non era intervenuto lo stato che lo aveva rilevato. Fu una delle mosse più azzeccate, perché si aggiudicò uno degli strumenti più idonei per vuotare le tasche dei cittadini, soldi certi senza possibilità di evasione, riempiendo le casse delle finanze pubbliche. Siccome da cosa nasce cosa le menti dei nostri governanti nel corso dei decenni hanno sprigionato in questo settore un’accesa fantasia, per altri versi sterile, e da essa è uscita fuori una gamma a non finire di giochi, concorsi, lotterie e così via. Pertanto, nel corso dei decenni il fiume di soldi dei cittadini verso lo stato si è ingrossato sempre di più. Oggi quando si esce da casa, si è sottoposti a un’infinità di tentazioni ludiche diffuse nelle edicole, nei bar, presso i tabaccai e in ogni luogo. Oltre ai giochi con cadenze periodiche, lo sguardo è attratto da un’infinità di rettangolini attraenti e variopinti: i gratta e vinci. Gli italiani sono diventati quelli che grattano di più al mondo.

C’è un rapporto diretto tra miseria, disperazione, povertà e gioco. L’uomo ha bisogno di sognare altrimenti va in disperazione per le banalità esistenziali. Deve credere nel lavoro gioioso, nell’amore eterno, nella vita dell’aldilà, nel portento, nella fortuna. Quest’ultimo termine è un contenitore indefinito che qualcuno individua come la realizzazione di ciò che è diverso da causa ed effetto.

La fortuna è strettamente legata al gioco perché entrambi sono elementi irrazionali e l’una trova la massima realizzazione nell’altro. Molti ci si affidano, soprattutto quelli che si trovano in condizioni difficili e che non hanno altro da sperare se non in tale combinazione. Il gioco pertanto, è la loro unica possibilità di redenzione e ogni evento della giornata, dal primo risveglio al sogno notturno si trasforma in numeri da giocare. L’uomo ha inventato il libro dei sogni che i napoletani con la loro meravigliosa ironia hanno trasformato nella Smorfia per tradurre gli eventi in numeri. Nei giochi con cadenza settimanale, gli esseri umani sognano per sei giorni; hanno sei giorni di speranza che li fa vivere oltre le loro preoccupazioni quotidiane per disperarsi e restare delusi un giorno solo. Tutto sommato una settimana del genere potrebbe essere sottoscritta da tanti. Ma com’è ovvio il gioco è solo astrazione pericolosa dalla realtà e salvo una ristretta minoranza, alla fine perdono tutti e vince solo lo stato che trova il modo di rastrellare le risorse in modo immorale.

A proposito dei pochi fortunati, ho letto sul giornale della colossale vincita di oltre duecento milioni di euro da parte di un giocatore ancora ignoto. Ho cercato di pensare al loro utilizzo ma mi è venuto il mal di testa. Fino a centomila ci riuscirei pure, forse anche fino a un milione, ma oltre no, è troppo per me. Così mi sono affidato per un attimo anch’io alla fantasia; mi sono immedesimato nell’ignoto vincitore e, dopo aver garantito il futuro ai miei cari con qualche milioncino, ho immaginato di andare in giro a distribuire gli altri quasi duecento ai bisognosi e alle strutture sociali che aiutano il prossimo. Poi subito mi sono fermato perché era solo un sogno di sapore rivoluzionario e pericoloso per l’egoismo umano. Oltretutto una dannosa fuga della realtà.

© 2013-2022 - Fondazione Prof. Massimo D'Antona